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Perché il Social Community Manager (che non è il Community Manager) è il changemaker dell’era digitale

Vivere in una comunità connessa significa che tutti i vostri prospect, clienti e competitor sono online.

Clienti B2B e B2C possono andare online e discutere (bene o male) del vostro brand e dei vostri prodotti o servizi.
Il passaparola è sempre esistito nel mondo offline, ma la società connessa ha accelerato la velocità a cui viaggiano le notizie, buone o cattive, e ha accorciato le distanze.

Intercettare e coinvolgere i prospect nel ciclo decisionale è un prerequisito del business moderno e la battaglia per l’attenzione si combatte con la competenza in materia e la leadership di pensiero, in una modalità non-promozionale.

La conversione di quell’attenzione in contatti e potenziali clienti, tanto duramente guadagnata, è una combinazione di scienza e arte. Una cosa che in pochi comprendono. Se fatta bene produrrà branding, awareness, leadership di pensiero, reputazione, demand generation e lead nurturing.

Ogni organizzazione, sia nel settore privato che pubblico, possiede informazioni e capacità di valore che meritano di essere condivise. Frank Buytendijk di Gartner affermava, già nel 2015, che a partire dal 2018 un business su tre sarebbe stato costituito dalla capacità di monetizzare le proprie informazioni. Aggiungeva inoltre che con la necessità di creare contenuti per supportare comunità e reti, questa cifra fosse anche bassa.

Nella creazione della community bisogna capire che le persone si fidano di certi tipi di messaggi mentre diffidano di altri.

Le aziende amano i programmi di “employee advocacy” (coinvolgimento dei dipendenti) perché possono controllare il messaggio e aumentare il “rumore” nel mercato ma i prospect e i clienti pensano: “è ovvio che chi lavora per un’azienda parli bene dei suoi prodotti o servizi, i dipendenti sono di parte”. I brand vogliono mantenere il controllo ma i prospect e i clienti non credono pienamente al messaggio.

 

 

(Grafico tratto dal libro “Social Selling – Techniques to Influence buyers and changemakers” di Tim Hughes e Matt Reynolds)

 


Salendo nella scala della credibilità dei pareri, sicuramente le referenze dei clienti sono un passo avanti rispetto a quelle dei dipendenti, ma sono ancora frutto del controllo aziendale.
Affinché il messaggio dell’azienda risulti davvero credibile e condivisibile per la community è necessario che i clienti da referenze diventino sostenitori.
Dimostrarsi aperti verso la vostra community vi farà guadagnare una più ampia condivisione e diffusione.

Il livello più alto di maturità per un’azienda è rappresentato dal coinvolgimento degli influencer: se riuscirete ad aver
e degli ambasciatori che raccontano positivamente il vostro marchio vedrete crescere la vostra comunità proprio grazie alla loro influenza e credibilità. Nel grafico questo passaggio rappresenta il punto più alto: non avere il controllo sulle opinioni degli influencer dimostra un alto livello di fiducia nei propri prodotti agli occhi della community. (Anche se, ancora oggi per molte aziende, questa “perdita di controllo” può rappresentare una delle principali fonti di preoccupazione).

Oggi il potere di una community e del passaparola tra suoi utenti possono decretare il successo o il fallimento di un prodotto o servizio, come ci dimostra il caso che segue.

 

Case history: Netflix vs. Blockbuster

Non troppo tempo fa i DVD dominavano il mondo. Per anni, i DVD store di Blockbuster sembravano imbattibili. Al suo apice l’azienda aveva 10.000 negozi nel mondo e nel 2002 il suo valore di mercato era di 5 bilioni di dollari.

Molti di noi hanno assistito al fenomeno di Davide contro Golia e di come Netflix abbia letteralmente spazzato via Blockbuster diventando il must-have per i teenager.
Netflix, che per molti di noi sembra essere emerso dal nulla, iniziò nel 1997 come startup costruendo un modello di business basato esclusivamente sull’invio di DVD attraverso il sistema postale statunitense, a basso costo.
La convenienza di questo servizio consisteva nella comodità (era come avere un negozio blockbuster nelle vicinanze) a una frazione del prezzo e soprattutto senza i costi applicati in caso di ritardo che tanto irritavano i clienti di Blockbuster.

Nel 2007 Netflix iniziò un servizio di streaming video. Questa poteva essere considerata una mossa alquanto visionaria per il CEO Reed Hastings, poiché all’epoca meno del 50% delle case americane disponeva di una connessione a banda larga. Netflix ha disgregato quel mercato creando un nuovo modello di business che ha portato il suo maggior competitor alla bancarotta nel 2011 e alla chiusura totale nel 2014.
Netflix aveva anche creato una community in cui il passaparola e i pareri positivi indirizzavano le persone verso questo nuovo servizio e i teenager chiedevano ai loro genitori di abbonarsi per poter vedere i loro show preferiti. Netflix si è poi spostato all’area dei contenuti originali (doveva farlo, dopotutto content is king) per guidare il livello successivo di crescita.

Oggi il marketing si è spostato online e le aziende per essere competitive devono pensare diversamente, adottare nuovi metodi e strategie, concentrarsi sui propri clienti, creare una community di sostenitori e magari lavorare anche con i competitor. Per molti questo può essere un pensiero temibile ma l’aiuto è a portata di mano. C’è un nuovo tipo di persone per cui questo modo di pensare è naturale.

 

I changemaker

Per crescere e prosperare online, oggi, nel team marketing di aziende e società, deve essere presente una nuova figura: il Social Community Managerda non confondere con il Community Manager: entrambi devono essere a proprio agio nell’ambiente social, ma le somiglianze finiscono qui.

Il SCM aiuta l’area commerciale a costruire una comunità maggiormente disposta all’acquisto, condivide gli stessi obiettivi delle vendite e, per questo, dovrebbe partecipare ai premi sui budget di vendita.

Il SCM è un changemaker, una figura che nell’azienda guida il cambiamento coinvolgendo i leader delle vendite, attraverso il social selling.

Il SCM deve rivolgersi al cliente e, per costruire una community, deve capire i clienti, i problemi che incontrano e la competizione che c’è intorno. Può, ad esempio, trasformare l’incontro con un cliente in un argomento da condividere sul blog dell’azienda.
Cosa c’è di meglio che mostrare al mondo che comprendiamo i loro problemi e che vogliamo condividerli (insieme alle soluzioni) sul nostro blog? O, meglio ancora, il SCM dovrebbe cercare di concentrarsi su ciò che i clienti faranno nel futuro, mostrando loro una direzione verso cui guidarli.
Indipendentemente dal tipo di prodotto o servizio che vendete, per costruire la vostra community dovete invitare le persone sul vostro sito. Offrite contenuti che siano pensati per rispondere alle esigenze del vostro specifico settore.

Il SCM sarà quindi responsabile del progetto di social selling perché il SCM è il timoniere che guida l’azienda verso una social maturity, (spesso i responsabili o i professionisti della vendita hanno difficoltà a comprendere l’ambiente social), fornendo anche coaching e tutoring ai colleghi dell’area commerciale in modo da coinvolgerli per poi condividere la direzione verso il cambiamento ed il successo del business.

  • L’azienda ha bisogno di capire chi è il suo cliente. (Ok, magari abbiamo venduto a loro per anni e anni, ma possiamo dire di conoscerli veramente?).
  • Le “customer personas” hanno bisogno di essere sviluppate e documentate.
    Ognuna di esse ha bisogni differenti, desideri e vittorie personali. In ogni situazione di vendita ci si rivolge a differenti tipi di persone con differenti profili.

 

Facciamo un esempio: Finanza vs. Marketing

Le persone del mondo della finanza tendono a considerare il lavoro come qualcosa che si svolge in orario diurno.
Mandate loro un invito di collegamento su LinkedIn alle 8 di sera e loro non vi accetteranno fino alla mattina del giorno dopo. Chi lavora negli ambiti finanziari tende a basarsi sui dati e sui fatti e si dimostra tendenzialmente meno incline ad apprezzare le infografiche.
I direttori di marketing sono connessi tutto il tempo. Inviate loro una richiesta di collegamento su LinkedIn alle 8 di sera e vi accetteranno immediatamente per poi continuare a rimanere online. C’è una evidente differenza su come vengano percepiti i confini dell’online e dell’offline a seconda del ruolo e del lavoro che facciamo.
I direttori di marketing tendono ad amare le infografiche mentre i direttori finanziari, che tendono a privilegiare fatti più dettagliati, no.

Prima di chiudere questo discorso è importante chiarire anche che cosa non è una community.

La community non si misura con i followers. Siamo a conoscenza di persone con 400 follower che, grazie alla loro nicchia, sono stati in grado di costruire una community.
La community è fatta di persone che lavorano per un obiettivo comune, condividendo idee e informazioni, senza aspettative di guadagno finanziario. Spesso si tratta di una relazione sinergica, che lavora per il bene comune.
Come accennato in precedenza, la community ha un vero valore quando le connessioni – persone, affari e cose – non sono rappresentate da follower statici ma quando c’è una reale interazione tra loro. Il numero di connessioni può, a basso costo, creare un effetto moltiplicatore del proprio valore.

Il SCM funge quindi da faro nell’organizzazione: per questo per costruire una comunità devi abbracciare i changemaker di oggi, i SCM.
Loro possono guidare quel cambiamento. Sono i nuovi leader dell’era digitale.

 


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