La maggior parte delle insidie comuni che affliggono le imprese che perseguono strategie di differenziazione, deriva da una comprensione incompleta delle sue basi o del suo costo.
Il fatto che un’azienda sia unica in qualcosa non significa necessariamente che sia differenziata. L’unicità non conduce alla differenziazione a meno che non porti all’acquirente un minor costo, e quindi un risparmio, oppure un miglioramento delle prestazioni percepite.
La differenziazione più efficace può derivare:
Una buona prova del valore dell’unicità si ha quando un’azienda riesce a proporre e sostenere un prezzo premium verso compratori ben informati.
Se un’impresa non comprende i meccanismi in base ai quali le sue attività incidono sul valore d’acquisto o sulla percezione del suo valore, potrebbe essere troppo differenziata.
Se la qualità del prodotto o i livelli di servizio sono superiori alle esigenze degli acquirenti, ad esempio, un’azienda può essere vulnerabile ai concorrenti con il giusto livello di qualità e un prezzo inferiore.
La differenziazione non necessaria è il risultato della mancata diagnosi delle soglie di performance e di una bassa comprensione del modo in cui le attività di un’impresa si rapportano al buyer journey del cliente.
Il prezzo premium è parte del valore della differenziazione e della sua sostenibilità.
Un competitor differenziato sarà abbandonato dagli acquirenti se il costo proposto sarà realmente troppo alto.
L’impresa deve condividere il suo valore creato tramite un prezzo ragionevolmente alto se non vuole rischiare che il cliente si fermi e faccia marcia indietro.
Il prezzo premium appropriato non è solo una funzione del grado di differenziazione, ma deve tenere conto anche del suo posizionamento di costo in generale. Se un’azienda non mantiene i suoi prezzi in prossimità dei concorrenti, un posizionamento premium oltre certi limiti può bloccare la sostenibilità nonostante venga offerta una differenziazione.
Le imprese a volte ignorano il punto di vista del cliente basando le loro strategie di differenziazione sui criteri considerati “reali”, oggettivamente differenti. Tuttavia, i clienti non sempre sono in grado di valutare in pieno queste effettive differenze tra i servizi o i prodotti offerti. La loro percezione personale può inquinare o distorcere la differenziazione.
Ignorare il buyer journey può portare un’azienda al rischio di attacchi da parte di concorrenti, magari più piccoli, che hanno meglio compreso il processo di acquisto del compratore pur avendo un minor vantaggio di unicità.
La differenziazione non porta a rendimenti superiori se il suo costo non è coperto da un prezzo accettato dal cliente per il suo maggior valore.
Le imprese spesso non valutano in maniera isolata i loro costi per la differenziazione, presupponendo un costo finale in senso più economico. Così facendo, più spendono per creare unicità, più alzano automaticamente il prezzo premium per raggiungere dei ritorni o falliscono nel controllo dei costi di differenziazione non avendo i dati necessari per misurarne gli effetti.
Alcune aziende vedono la differenziazione solo in termini di prodotto fisico e non riescono a sfruttare le opportunità su tutta la catena del valore.
L’intera catena del valore spesso fornisce numerose opportunità per la differenziazione, anche se il prodotto è una commodity.
I criteri di acquisto tra gli acquirenti e il loro ordine d’importanza sono di solito diversi fra loro, creando specifici segmenti di clienti.
Se un’azienda non riconosce l’esistenza di questi segmenti, la sua strategia potrebbe non soddisfare molto bene le esigenze dei clienti, rendendola vulnerabile da parte di concorrenti con strategie focalizzate.
L’esistenza di segmenti di acquirenti non significa che un’azienda debba scegliere per forza una strategia di focalizzazione, ma piuttosto che debba basare la propria differenziazione su criteri di acquisto valutati in maniera più precisa.
Tratto dal libro “Competitive Advantage” di Michael Porter.
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